Central Park

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    Giudizio forse spicciolo, fin troppo generoso
    credevi fosse ardito anziché un mago 'sì pauroso...
    Qualche schizzo di sangue basta a mandarlo in fuga,
    scappare gli avrà fatto guadagnare qualche ruga.
    Finsce in brevi istanti tutto il divertimento,
    nel parco attorno ai morti sembra congelato il tempo;
    non v'è ragione per restare lì neanche un momento,
    la notte é lunga e tu necessiti intrattenimento.
    "La falce calma morte, io devo accontentarla;
    se fosse disattesa riuscireste a sopportarla?"

    Una sorta di appello rivolto rivolto alla marmaglia,
    perché quella tua caccia ti aiutino a terminarla.
    La dannazione é questa: corsa senza traguardo,
    morte fine a sé stessa fino all'ultimo baluardo
    che in modo concettuale associ all'ultimo vivente,
    ucciso quello non ti resterà da far più niente.
    É forse un'utopia ma la persegui ad ogni costo,
    questo ti ha unito a Lubba e forse anche a quel nuovo mostro.
    Accogli come un figlio quell'emofago guerriero,
    estrai Mirari per scrutare il suo oscuro sentiero,
    cammino costellato di omicidi a più riprese,
    tragitto che riserva più godibili sorprese
    ed una é proprio questa, l'incontro di stanotte,
    quella con Merlino e numerose nuove lotte;
    "Da oggi non sarai mai più soltanto un mercenario,
    assumi il ruolo che più ti si addice nel nuovo scenario!"

    E guardi Lubba, gli sorridi, ritrai Mirari;
    vedi i vampiri come fantastici sicari
    lo stesso Keizo con le minacciose lame,
    sarebbe un buon tassello per l'Impero del Male.

     
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    Finalmente aveva avuto risposta, dopo un periodo che era sembrato al samurai anche troppo lungo. Il ragazzetto aveva parlato con voce ferma, sicura, da persona abituata a comandare o, quantomeno, a farsi rispettare. Si era presentato con il nome di Lubba. Un nome un pò inusuale per qualcuno di "spaventoso", ma sappiamo che l'abito non fa il monaco. Poi successe un'altra cosa, e molto velocemente. Nello stesso modo in cui era apparso, quasi di corsa, il "prode" Merlino se l'era battuta senza che nessuno potesse fargli altro. Eppure sembrava molto ben intenzionato riguardo il fatto di mondare quel parco dai morti viventi. Una sensazione appena giunta suggerì al vampiro che, quasi sicuramente, i pericoli erano vicini, perciò si diede un'occhiata intorno, poi mosse velocemente la spada liberandola del sangue rimasto. Infine, in un attimo e seguendo il tipico copione da film 時代劇 (Jidai Geki), Saizō rinfoderò la spada.
    Soiddisfatto, si girò verso il ragazzino, pronto a riprendere la conversazione. La sua spada era a riposo ma, ne era sicuro, il nonmorto di fronte a lui sapeva perfettamente che non ci avrebbe messo molto tempo a sfoderarla di nuovo.
    Per uccidere.

    では... Iniziò il samurai, prendendo fiato e pensando alle parole. I tuoi complimenti mi lusingano, o Signore dei Lich. Iniziò. Qualsiasi cosa siano, questi Lich. Forse altri tipi di nonmorti. Di certo non mi sembra stia parlando di Warcraft. Riprese subito la parola. Tu, che parli di questo Regno delle Notti Sferze, dimmi, se puoi, dove si trova il tuo regno perchè... Fece un gesto teatrale con la mano. Vivo su questa nuda terra da molti secoli, passati a fare a fette qualsiasi tipo di cosa si possa muovere, e non ho sentito mai, nemmeno una volta, nominare questo posto. Di certo, dato il nome roboante, deve trattarsi di una terra gagliarda e fiera. Magari con una storia millenaria che, ahinoi, per qualche motivo, è poco conosciuta. Disse le ultime parole senza alcuna traccia di ironia. Inoltre, da giapponese, era stufo di parlare con teppisti e drogati, motivo in più per sfruttare quel momento di alta conversazione con una "persona" (almeno all'apparenza) tanto erudita parlando decentemente. In giapponese esisteva il 敬語, o "linguaggio onorifico", ovvero il modo giusto per parlare a qualcuno più alto in grado o superiore socialmente. Da quel che sapeva, esisteva solo nella sua lingua, ma anche in inglese tentava di esprimere lo stesso tipo di rispetto riservato ai grandi Daimyō.
    Intravedeva qualcosa.

    Aveva parlato anche di "stirpe a lui sconosciuta" e "doni passati". Forse che tu, caro Lubba, hai passato del tempo a vampirizzare fanciulli innocenti? So così poco su di me, tutto quello che mi serve per essere un assassino provetto. Ma forse c'è qualcosa che ignoro e la tua esperienza può aiutarmi. Forse i vampiri non erano poi così pochi e forse erano vere anche le voci di possibili cacciatori. Vorrei tanto incontrarne uno. Se è vero che girano con armi d'argento, sarà un piacere ricordare loro il motivo per cui le spade sono fatte di acciaio. Erano sufficientemente vicini, i due. Eppure, pensò di girarsi anche verso l'altro arrivato, la donna inquietante. Pareva ancora fluttuare. Non solo, parlava in rima, come in un film fantasy. Come in quei film in cui gli eroi dovevano superare il momento enigma, per andare avanti. Saizō conosceva bene il cinema. Era il suo unico modo per vedere il sole e il mondo "diurno" senza morire. E amava le storie. Quella sera ne avrebbe avute tante da raccontare, ovviamente a degli amici che, sicuramente, si sarebbe fatto presto.
    Un nuovo scenario per me. Si, mi piace. Sussurrò, quasi solo a se stesso. Stava intravedendo un disegno, ed era un gran bel disegno. Intuì anche una certa connessione fra i suoi due interlocutori, come se si conoscessero. Forse erano collaboratori.
    Prese ancora la parola.

    Sento odore di arruolamento. Disse. Magari, come credeva, quei due erano alla ricerca di gente da iscrivere in qualche progetto sicuramente malvagio. Del resto, nessuna persona "normale" si sarebbe sognato di parlare in quel modo ad un predatore notturno di quella risma. Lui avrebbe accettato, se fosse stato così? Non aveva mai disprezzato la sua vita, fatta di guerriglie, assassini a pagamento e bevute al chiaro di luna. Eppure, si disse Magari una ventata d'aria nuova potrebbe giovarmi. Tutt'al più che non sono mai stato bravo a prendere decisioni importanti. Non aveva effettivamente niente da perdere, anche perchè non aveva niente. I soldi guadagnati li spendeva in comodità da mortali, ma erano solo uno svago temporaneo fra un omicidio e una battaglia. I suoi averi erano tutti sulla sua persona.
    Il mondo dei mortali pareva andargli stretto, tutto d'un tratto. E il suo cuore morto quasi aveva un sussulto di vita a pensare al regno nominato poc'anzi. Immaginava una brughiera oscura, piena di castelli gotici e nebbia, magari simile alla Latveria. Aveva dei vaghi ricordi della Latveria. Lontano dall'ambiente "umano" morto che si penserebbe essere affine al samurai, fatto di case di legno, portantine e briganti. Dal Giappone feudale a che cosa? Come fumetto, sarebbe stata un'ottima storia.

    Sono tutt'orecchi. Disse Infine.
    La luna non era mai stata più bianca di com'era in quel momento, sopra Central Park. Luce che si proiettava su esseri fatti di pura oscurità e tenebre.
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    Alla fine non restò nulla se non la tragica presenza oscura. Quel mago, quello pseudo incantatore per il Lich, fuggì spaventato da qualche flotto di sangue cadente, mentre la Dama in Nero già pregustava il momento dello svisceramento. Troppe emozioni, o forse un semplice pensiero, lo fecero correre lontano da quel parco per cadaveri. Così, i regnanti, poterano finalmente aver tempo per discutere con il vile samurai dalla lingua affilata. Costui parve al quanto socievole al Non Morto sovrano, dando anche un accento al quanto signorile alle sue parole. D'altro canto, Lubba aveva imparato l'inglese nei mesi in cui si rinchiuse a Gallever a studiare la maggior parte della cultura moderna, al fine di non sembrare un allocco facilmente impressionabile. Sapeva padronaggiare le lingue dei morti, cosa poteva essere l'inglese per lui se non una scaramanzia. Con il corpo da infante, volse il suo sguardo su ogni accessorio del samurai, incluse le sue armi. Ne rimase affascinato: in effetti aveva visto solo una volta una Katana, ma non era di quella leggendaria fattura. Erano armi che facevano brillare gli occhi di Lubba, ma allo stesso tempo, costui rimaneva più affezionato alle sue spade e falci europee. Il vampiro pose domande sagge, e le chiacchere di Lubba non si sarebbero spente molto facilmente.

    I tuoi complimenti mi lusingano, o Signore dei Lich. Tu, che parli di questo Regno delle Notti Sferze, dimmi, se puoi, dove si trova il tuo regno perchè vivo su questa nuda terra da molti secoli, passati a fare a fette qualsiasi tipo di cosa si possa muovere, e non ho sentito mai, nemmeno una volta, nominare questo posto. Di certo, dato il nome roboante, deve trattarsi di una terra gagliarda e fiera. Magari con una storia millenaria che, ahinoi, per qualche motivo, è poco conosciuta.

    Il sovrano fece allora un sorrisetto beffardo, non provocatorio, ma come appagante. Era una sorta di morboso eccitamento. Da quanti anni non parlava con un vampiro. La gioia che Spectra gli dava era assai incommensurabile. Ella era per lui una compagna atta a portare la vera parola mortale, e vedeva in lei una donna di alta classe e nobili intenzioni. Mentre Saizo, poteva essere un buon amico, così simili a lui, e più incline a portare azione che infausti discorsi politici. Qualcosa che Lubba voleva. La situazione però era delicata. Se i regni demoniaci, o la Morte stessa, avessero scoperto l'ubicazione di Gallever, ci sarebbero stati più di qualche regnante da eliminare. Il sovrano si scostò il cappuccio e rispose con enfasi:

    Se posso definirti amico, ciò non mi sorprende. E' naturale tu non conosca ne me, ne il mio passato o la mia nuova dimora. ho passato mille anni rinchiuso, e le mie gesta sono andate perdute, bruciata dalla Chiesa catollica. Eppure, la mia cara sorellina, ha liberato il fratello perduto. Ti condurrò a Gallever, mia città dalla beata dannazione. Ho piani considerevoli per coloro che chiamiamo mortali.

    Discese allora la Signora oscura, portandosi di fianco a Lubba nella sua tenuta bambina. La donna sorride a quest'ultimo e il sovrano fa altrettanto, mostrando quello che gli umani potevano definire affetto. I due si toccaron solo con gli occhi, i loro corpi non provavan più la passione carnale, ma un sentimento, ancor più elevato del Platone stesso. Spectra avanzava una proposta al vampiro, e quest'ultimo afferrò al volo la richiesta. ma prima, pose nuovo interrogativo:

    Forse che tu, caro Lubba, hai passato del tempo a vampirizzare fanciulli innocenti? So così poco su di me, tutto quello che mi serve per essere un assassino provetto. Ma forse c'è qualcosa che ignoro e la tua esperienza può aiutarmi.

    Qui il sovrano cadde in una risata isterica. Non per mancar di rispetto, era ben visibile ciò. furon ricordi morti a sondargli la mente, e dargli quella sensazione nostalgica e isalarante.

    Naturalmente, Nipote mio. Solo ora comprendo molti punti. Sicuramente conosci la Transilvania, ebbene fu lì che io portai il vampirismo. Non per nobili cause. A dir la verità, necessitavo di un fantoccio, e chi meglio di un re fasullo dall'anima oscura. Mi han parlato molto spesso, da quando tocco questi anni, di un certo Dracula. ebbene, non so chi sia. Egli io non lo vampirizzai, forse sarà stato qualche prole immonda del primo da me creato. Non mi parve comunque sta gran abilità. probabilmente, il tuo vampirismo, deriva dal naufragio di una di queste proli nelle tue terre, oppure a uno stregone di quei luoghi. Non è difficile creare vampiri. Eppure in te, scorgo un'energia diversa, forse evoluta. La negromanzia si può evolvere e adattare, non sai quanto io adori quest'arte così eccelsa. fece una pausa, e sentì subito Saizo chieder di arruolamento o iscrizione. Non perdeva tempo il giovane. Prego allora, saremo lieti di mostrarti la nostra dimora, e porti, un contratto assai accativante per uno come te. Ma prima dimmi, hai altri quesiti da sottoporre alla nostra attenzione?
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    I giochi ormai son fatti, non morti scesi a patti,
    nemici sopraffatti, stipula di contratti
    ma tutto questo a te non e che riesca a soddisfarti;
    con atti diplomatici non riesci a districarti.
    Questioni delicate da lasciare in mano a Lubba,
    la chiacchiera fine a sé stessa: roba che ti sdubbia.
    I due non morti parlano di storie sui vampiri,
    fatichi a stargli dietro, per te son solo deliri.
    Sei stata troppo ferma, adesso sei un po' arrugginita
    ma pronta per riprendere la tua storia infinita.
    Non hai fatto ritorno per star con le mani in mano,
    per questo dici a Fester: "Muoviti che ne andiamo!"
    "Signori ci vedremo ancora al quartier generale,
    ora dobbiamo andarcene, c'é gente da ammazzare..."

    Così raccogli il teschio sotto il tetro Mantoscuro
    che si piega su sé stesso e ti offre il viaggio più sicuro;
    con il teletrasporto raggiungete l'obiettivo,
    locale da cui non uscirà più nessuno vivo.


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    Chiesa Cattolica... Si, quei pusillanimi italiani che hanno preso un libro che a loro non interessava, ne hanno scelto una deliberata traduzione arbitraria, l'hanno interpretata a loro uso e consumo e l'hanno resa verità. Infine hanno usato quella barzelletta, l'hanno infarcita di cazzate create a tavolino, dopodichè hanno usato loro seguaci per condividerla col mondo, usando ferro e sangue. Si, interessante. Il loro dio fasullo è incredibilmente affascinante, essendo stato creato dalla più grande organizzazione criminale di tutti i tempi. Forse nemmeno troppo dissimile a noi, permettimi. Interessante. Non mi dispiacerebbe nemmeno uccidere qualche bel collare bianco. Com'è che diceva Doshin So, parafrasando il loro guru capellone? E' inutile porgere l'altra guancia a chi vive solo di violenza? Sarei ben felice di metterli alla prova, dato il loro coinvolgimento nelle ormai nostre vicende. Ho sempre mal sopportato i censori.
    Saizō non sapeva se li rispettava con ammirazione o li odiasse a causa delle loro fallaci verità. Ma, era certo, un conflitto tra due grosse armate del male poteva essere solo divertente. L'entropia, il chaos, davano solo divertimento ad un essere che per secoli aveva solo ucciso persone e migliorato le sue doti di assassino. Per il samurai, in larga parte, valeva quello che diceva il vecchio occultista Aleister Crowley: "fa quel che vuoi sarà l'unica legge". Soprattutto agli altri.

    Saizō notò anche l'interessamento di Lubba nei confronti delle sue armi, perciò, sentendosi preso in causa, si limitò a dire. Sono gran bei giocattoli, o Lubba. La cosa interessante è che, soprattutto gli occidentali, sono convinti siano armi dotate di poteri mistici o altre fesserie, come tagliare in due un elicottero o affettare un'armatura a piastre. Beh, ammetto che le mie sono ben trattate con metodi moderni e, in mano a me, potrebbero farlo, ma, a essere onesti, sono solo la variante giapponese di quello che viene comunemente chiamato spada: ovvero un coltello molto grande. E di certo, gli armaioli del periodo Edo, come anche precedenti, non hanno avuto a che fare con armi esotiche, altrimenti avrebbero modificato il loro stile per aderire alle nuove esigenze, dato che uccidere è importante. Ed è importante farlo con gli oggetti giusti. Tutte le armi sono efficaci, io mi limito a queste per pigrizia. Era davvero così? O forse, più probabilmente, il vampiro non si era liberato delle convenzioni della sua società? Era, per così dire, rimasto indietro? Ancorato alla vecchia idea del 大小, la coppia di spade tipiche dei samurai. Secondo il suo discorso, se ne sarebbe dovuto liberare per scegliere qualcosa di diverso, ma perchè non ci riusciva? Forse nemmeno i vampiri sono fuori dalle logiche strane della vita umana. Anche loro hanno un loro segmento temporale.
    Sono diventato un nostalgico.

    Quanto a Dracula, beh... Chi non lo conosce. Documentandomi, dato che lui visse ben prima di me, ho scoperto che fece gran strage di Turchi e musulmani che infestavano le sue terre. Era un signore che mi sarebbe tanto piaciuto incontrare. E lo farei, ma non so bene dove sia. Anche se credo che i suoi doni siano più possenti dei miei. A dar credito a Stoker c'è da mettersi a piangere.
    Saizō aveva già pensato al fatto che una sua progenie possa averlo contattato, una vita fa in Giappone. Non aveva ricordi nitidi del vestiario o della parlata di quel tizio, ma poteva essere benissimo un vampiro di quelle zone europee. Del resto, all'epoca, il samurai non aveva visto quasi niente del mondo, intrappolato com'era dal 鎖国, il "sakoku", la politica isolazionista del Giappone dell'epoca che aveva chiuso completamente i confini: se uscivi, al ritorno eri morto; se entravi, eri morto.
    Effettivamente... Come aveva fatto ad entrare? Avrei dovuto pensarci. Uno straniero nello Han era già inconsueto di suo, potevo immaginare non fosse un comune uomo mortale.
    E sull'evoluzione? Saizō non si spingeva a fare ipotesi. Si sentiva ben poco evoluto, praticamente solo un perfetto uccisore e, all'occorrenza, bravo nel fuggire. Ma rifiutare i complimenti, si diceva.

    Intanto, la donna se n'era andata in fretta e furia. Erano rimasti in due, ma ancora per poco. Soppesò tutte le cose apprese e decise che era un buon piano. Il signor Sugawara era pronto ad accasarsi, anche in un Regno Oscuro e antico. Cosa avrebbero detto i membri del suo clan? Il loro rampollo era diventato un mostro, in combutta con altri mostri. Quasi gli venne in mente di cercare eventuali suoi discendenti umani. La loro cultura, forse, avrebbe imposto a tali persone di venerarlo, essendo antenato, per giunta vivente.
    Desidero vedere il Regno, magari subito, dato che la curiosità mi sta erodendo lentamente. La tua proposta è assai allettante per uno come me e sento il bisogno di qualcosa di più grande, basta coi piccoli incarichi. Voglio mettere a ferro e fuoco questo mondo e godere della carneficina. E voi siete le persone ideali con cui farlo. Fece una pausa.
    E no, non ho altri quesiti. Voglio VEDERE! Sgranò gli occhi, in concomitanza con l'ultima parola.
    E vedremo lo splendore tanto decantato, le guglie, la nebbia e l'oscurità promessa. Era euforico. Da li, daremo battaglia al creato! Fino alla fine dei tempi. Il suo umore era cambiato repentinamente.

    Ciò detto, ti seguo... Disse, guardandolo dritto. Avrebbe aspettato Lubba e l'avrebbe seguito senza fiatare.
    Il viaggio era appena iniziato.

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    Edited by TronoNero - 31/10/2018, 11:35
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    Lubba ascoltò molto attentamento il discorso del samurai sulla chiesa. Più sentiva quelle parole, più un desiderio insano di massacro gli si alimentava dentro le viscere. Era assolutamente convinto. Quel vampiro sarebbe stato un suo compagno, era la scelta più adatta fra quelle di crearsi dei fantocci. Ciò che si chiedeva era il motivo di quell'astio verso i cattolici, poi, pensò che non aveva importanza. Non la avrebbero avuta i politici, i santi, gli ecologisti, e gli economisti. tutto sarebbe bruciato, morto e risorto sotto semplici parole. Bastava solo dar il segno, e ancor qui prese ispirazione:

    Noto, astio fra te e il papato. Ineffetti avrei qualcosa da recuperare nella santa casa. Santa per modo di dire.

    inoltre, Saizo spiegò al sovrano quell'arma esotica, e fu sublime, tantè che tolse molti dubbi all'empireo osuro. non sarebbe stato male creare qualche tipo di katana maledetta e darla a qualche sottoposto o cavagliere, solo, ignorava la fabbricazione. Forse il vampiro poteva porci pezza?

    Ascoltò bene quel discorsò, e finì esordiendo con una proposta:

    Sai, mi dileto anche io nell'arte dell'arma bianca, sarei curioso di testare le nostre abilità un giorno, con il solo scopo di svagarci. non credo che la morte, o il dolore, siano per noi motivi per non farlo, non credi? Sorvolò la discussione sul così detto Dracula, era qualcuno che gli dava solo tedio sentirlo.

    Fu allora che il samurai fece gioire nelle viscere Lubba, chiedendogli di vedere Gallaver. Fu allora che si manifestò lei, osservatrice di ogni lembo vitale atto a putrefarsi. Karisia giunse lì. una dama stupenda, dai lunghi capelli bianchi e il vestito d'ebano.

    Ti presento mia sorella, ella ci condurrà e ti porterà dove tu hai posto desiderio

    E così, Saizò potè veder la sua nuova città, giungendo col teletrasporto. I fumi neri si alzavano. le preghiere oscure erano ovunque insieme a quei sacerdoti deviati. l'aria di morte si impregnava con le grida. Il palazzo maledetto svettava sopra a tutto. I campi di grano crescevano come morti. Le anime senza corpo sventolavano come bandiere, e il sangue, dipingeva il paesaggio. Lubba pose la mano sulla spalla del samurai e con voce oscura parlò.

    Benvenuto nel tuo nuovo regno, Condottiero delle Notte Sferze.

    [ESCO]
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    24 per Saizo, che va al 2 con 17 restanti e ne condivide 12 con gli altri sotto al 10
    22 a Lubba, che resta al 4 con 44(!!) e ne condivide 11 con gli altri sotto al 10
    Zero per Merlino, che ne condivide altrettanti con gli altri sotto al 10

    FINE 58^ AVVENTURA

     
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    IRON MANIAC LV9
    Era passato qualche tempo dal fallimentare, quanto inaspettato, incontro con quello che Tony aveva desunto essere un altro membro dello sgangherato gruppo assemblato da Starbreaker e che, a distanza di mesi, gli aveva lasciato un inutile bracciale quale unico memento.
    Suo malgrado, sebbene l’esperienza con Yurei si fosse rivelata fugace, non lo erano stati altrettanto gli strascichi che tutt’ora seguitavano ad angustiarlo: da alcolista recidivo, Stark aveva imparato da molti anni a riconoscere pressoché d’istinto i sintomi della dipendenza, ed era proprio quel consueto e familiare connubio tra estasi e terrore ad averlo attanagliato non appena la corazza lo aveva cinto, riportandogli alla memoria l’altrettanto nota sensazione di onnipotenza che lo prendeva, ottenebrandogli la mente, ogni volta che indossava i panni del suo lugubre alter ego.
    Iron Maniac.
    Dopo la catartica sortita in un universo devastato da un’epidemia innaturale Tony aveva deciso di lasciarsi alle spalle la sua deriva criminale, interpretando quanto gli era accaduto come l’opportunità per ricominciare daccapo e fare ammenda per i propri peccati in un mondo che aveva conosciuto il suo risvolto mortifero solo marginalmente. Aveva modificato la corazza, conferendole un assetto neutro che si discostasse tanto dall’aspetto truce e minaccioso della precedente iterazione quanto da quello pacchiano e vistoso del suo originale alias, ma la scelta di conservare il nome di Iron Maniac, seppur solo ufficiosamente, era eloquente dimostrazione di come i conti con il passato fossero tutt’altro che archiviati. D’altro canto, nel suo impaziente impeto di farsi perdonare, si era convenientemente dimenticato di come l’armatura che indossava fosse il frutto di un assassinio a sangue freddo, vero e proprio battesimo del sangue di un folle che, perlomeno, aveva conservato sufficiente lucidità da definirsi come ciò che era divenuto: il pazzo di metallo.
    Tony aveva una certa familiarità con il concetto di assuefazione: dopo buona parte della sua vita adulta trascorsa ad indulgere nei piaceri dell’alcol, solo uno tra i tanti vizi che gli erano imputabili, aveva sviluppato una singolare capacità di arginare gli effetti distruttivi delle proprie inclinazioni autolesioniste, facendo in massima misura affidamento su una abnegazione che, per quanto intrisa di indolenza, si attestava di certo su livelli superiori alla media. D’altro canto, quello della bottiglia era un difetto che, se smussato con la giusta perizia dalle spigolature più scabrose, esercitava un certo fascino perverso indispensabile a consolidare lo stereotipo del latin lover incallito a cui, nei suoi giorni migliori, Tony era stato solito ricorrere come vera e propria panacea, sorridendo con compiacenza in risposta a tutti coloro che, all’oscuro della doppia vita del supereroe miliardario filantropo si limitavano a scuotere la testa condannandone la dissolutezza.
    Iron Maniac era diverso.
    Come la peggiore delle droghe, eludeva il controllo di chi se ne serviva attecchendo in profondità, beffardo, non dissimile da un tumore che, troppo diffuso per poter essere estirpato, gioiva sadicamente del logorio inarrestabile che, dopo lenta agonia, avrebbe raggiunto il suo apogeo provocando la morte di un ospite così provato da salutare la sua ora con impazienza, se non addirittura con gioia.
    L’aspetto che lo terrorizzava maggiormente, tuttavia, consisteva nella totale rinuncia alla ragione che seguiva l’abbandonarsi alla corazza: il suo io si annebbiava, contraendosi dinnanzi allo stagliarsi minaccioso di Iron Maniac che, in quei momenti di completo controllo, trascendeva la natura di mera sfaccettatura della sua personalità per assumere i contorni, decisamente più inquietanti, di vera e propria seconda indole che premeva, violenta e furibonda, per sostituirsi definitivamente al consueto Tony. All’inizio la dicotomia non era stata così marcata, ma con il tempo ed il moltiplicarsi delle efferatezze del mostro la discrepanza si era fatta insanabile e la frattura talmente ampia da soffocare ogni legame residuo tra le parti.
    O forse era solo un alibi; una scusa, per tenere a bada quello scampolo di morale residua che lo azzannava nei rari momenti di commiserazione e che doveva essere messa a tacere, a costo anche di mentire a sé stessi.
    Era questo che, ad oggi, gli provocava indossare nuovamente la corazza: un coacervo di emozioni contrastanti, superbe, deliziose ed agghiaccianti tutte insieme, uno sguardo prolungato su un abisso infestato da demoni interiori che lo blandivano con promesse ingannevoli di grandezza a patto che si lasciasse andare e liberasse la bestia che scalpitava, la bava alle fauci, assetata di morte.
    Sedeva sotto un albero, a Central Park, opportunamente camuffato da signor nessuno, l’idillio dell’ambiente circostante di poco sollievo al suo animo tormentato.
     
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    quella giornata la capricciosa dea-Felino si era svegliata affamata e annoiata. aveva bisogno di cibo ma anche di divertimento. come una gatta viziata e lasciva sentiva il bisogno della caccia, il brivido del puntare, inseguire e uccidere una preda indifesa gli scorreva come corrente elettrica lungo la sua elegante pelliccia maculata, voleva scovare un piccolo topolino, voleva inseguirlo, sentire la puzza della paura appestare l'aria voleva ghermirlo con i suoi artigli e sentire il sangue misto a terrore scorrergli tra le zampe, mentre il topolino se la faceva sotto non appena compreso che per lui non ci fosse più speranza di salvezza, dopo di che...proprio mentre quello si rassegnava alla morte, gli piaceva lasciarlo andare, come ad illuderlo che nonostante tutto sarebbe stato risparmiato, che poteva andarsene "illeso". E quando lo stolto si lasciava per un secondo inebriare dalla sua folle speranza, lei lo avrebbe ghermito ancora, come un gatto che gioca con un topo. adorava dare false speranze per poi distruggerle. durante la caccia non c'era niente di più divertente di annientare psicologicamente la preda, in un estenuante gioco di liberazione e ricattura che lasciava intuire profondamente alla vittima come la sua vita fosse totalmente un semplice gioco nelle sue mani. non appena si accorgevano che il loro destino non gli apparteneva, la disperazione li attanagliava all'istante con una morsa gelida e serrata, e i topolini si arrendevano senza più scappare. E a quel punto se li mangiava. il pensiero del divertimento che la attendeva e il sapore della carne e del sangue tra le sue zanne la fece mugolare di piacere, tanto che iniziò a fare le fusa, si alzò in piedi stiracchiando pigramente gli arti e come ogni giorno si spazzolò il pelo pulendolo con la lingua dopo di che, una volta terminata la sua toletta quotidiana con un balzo fulmineo si arrampicò sul tetto del palazzo lì vicino e da lì, con la sua agilità divina, iniziò a correre e saltare da un tetto all'altro per raggiungere finalmente il suo terreno di caccia il parco centrale della città di New York.

    si nascose tra le fronde di un albero secolare, utilizzando il suo potere mimetico per camuffarsi con il legno della corteccia,
    la prima cosa da fare era trovare il topolino adatto, non gli interessavano i topolini indifesi, donne e bambini erano troppo deboli e facili da catturare non c'era onore, sempre che alla dea-leopardo fosse interessato qualcosa dell'onore, ma soprattutto non c'era divertimento, chiunque poteva catturare e uccidere un bambino o una donna, lei cercava la sfida, un maschio adulto, forte, atletico... un guerriero sarebbe stato ancora meglio, voleva che il suo topolino combattesse per salvarsi. voleva annientarlo prima di ucciderlo voleva scorgere la sconfitta nel fondo dei suoi occhi...

    finalmente dopo una lunga attesa, Heka la dea-leopardo vide passargli vicino, un addetto della vigilanza nel parco, non un grande guerriero certo, francamente avrebbe desiderato di meglio, un topo agente di polizia, o un topo soldato, ma almeno non era in sovrappeso, e benché non fosse armato di pistola e non indossasse una corazza, aveva un manganello e un taser che per quanto non letali offrivano comunque un piccolo divertimento...

    meglio di niente...

    il primo colpo è alla schiena. non è pericoloso, ne mutila gravemente la preda, ha ancora le braccia per lottare e le gambe per scappare, e la ferita non è grave ne corre il rischio di morire dissanguato, ha ancora tutta la forza necessaria per illudersi di potersi salvare...ma è una ferita dolorosa e l'attacco a sorpresa unito al dolore lancinante mettono la preda in allarme, è una ferita sufficiente a fargli comprendere la gravità del pericolo e a spingerli a combattere o fuggire...

    non appena l'agente di sorveglianza gli voltò incautamente le spalle, Heka con un rapido balzo felino, uscì dal suo nascondiglio e si lanciò contro la schiena dell'uomo schiantandolo a terra come una tigre che balza su un bufalo per atterrarlo, contemporaneamente fece fuoriuscire gli artigli retrattili delle mani e dei piedi che penetrarono sulla schiena del malcapitato dilaniandola...nell'attacco di una tigre o di una pantera, solitamente a questo momento segue l'istante in cui il felino ti azzanna al collo e ti spezza la colonna vertebrale, ma Heka si stava divertendo prima ancora di cacciare per mangiare, perciò, dopo aver messo a segno il colpo, con un altro rapido balzo, si staccò dalla preda e con un elegante capriola con avvitamento atterrò elegantemente accovacciata davanti all'agente, le zanne snudate in un ferale ghigno divertito unito ad un altrettanto feroce ruggito di un predatore pronto ad attaccare...

    diede al topolino il tempo di rialzarsi e provare a reagire.

    ma che diavolo...? sorpreso e terrorizzato, l'agente sfoderò il taser lo puntò contro l'assalitrice e fece fuoco, ma aveva contro una divinità felino che incarnava l'agilità e la rapidità di un ghepardo, l'animale terrestre più veloce al mondo, e dei felini possedeva i riflessi... tecnicamente avrebbe anche potuto colpirlo prima ancora che avesse iniziato a sfoderare l'arma, ma dove sarebbe stato il divertimento? e poi così era molto più di effetto... il dardo del taser era come se si muovesse a rallentatore per lei, lo schivò facilmente spostandosi di lato e poi partì all'attacco. scattò fulmineamente in avanti correndo su quattro zampe zig-zagando per rendersi un bersaglio più difficile, e poi, arrivata alla distanza giusta balzò in avanti buttando a terra l'uomo, mentre con la mano sinistra gli infilzò la spala destra all'altezza dell'articolazione in modo da bloccargli il braccio dominante e per costringerlo a mollare la presa sul'arma

    scappa topolino...

    il secondo colpo va ad un braccio, bisogna indebolire la preda lentamente, sempre più ad ogni attacco, deve sentire la morte avvicinarsi lenta e inesorabile, senza un braccio le sue capacità combattive sono dimezzate, ma può ancora lottare, e può scappare...mai privarlo di tutta la sua speranza nello stesso istante, non è divertente.

    l'agente si ritrovò costretto a impugnare lo sfollagente con la mano più debole e a sferrare un colpo disperato per liberarsi prima che la predatrice lo uccidesse. improvviso a distanza ravvicinata, il colpo andò a segno, costringendo Heka ad allontanarsi, e dando il tempo all'uomo di alzarsi in piedi e a scappare.

    ora si che ci divertiamo

    l'uomo si era dato alla fuga più precipitosamente possibile e correva a perdi fiato, dal canto suo Heka era scattata all'inseguimento, raggiunse un albero nelle vicinanze e con un elegante mossa di parkour saltò verso il tronco si diede una spinta contro di esso con un calcio e afferrò agilmente uno dei rami, da lì con agilità si lanciò da un ramo all'altro con le braccia come gli scimpanzé fino a portarsi rapidamente sopra l'uomo che scappava, si lasciò cadere su di lui con leggerezza e lo atterrò di nuovo, stavolta gli dilaniò con gli artigli l'altra spalla inibendogli anche l'altro braccio, dopo di che con una capriola lo lasciò andare per atterrare di nuovo di fronte a lui.

    aha direzione sbagliata, ti conviene fuggire da un altra parte...

    con entrambe le braccia immobilizzate, l'agente si rialzò a fatica e cominciò a scappare verso la direzione opposta dove c'era più gente, chiedendo aiuto a gran voce ormai terrorizzato... era arrivata la fine dei giochi, Heka non riusciva più a ritardare la cosa ulteriormente quel gioco iniziava a stufarla, partì nuovamente all'inseguimento, scattando a zig-zag tra gli alberi, saltando sulle rocce ed evitando acrobaticamente gli ostacoli, finché arrivata a tiro con un artigliata recise il tendine della caviglia destra dell'uomo facendolo cadere a terra

    fine della corsa

    con un minaccioso ruggito di trionfo gli artigliò il volto e con movimento rapido e preciso gli azzannò la gola e gli spezzò il collo, dopo di che incurante che qualcuno la stesse osservando gli aprì in due il petto con una zampata e fece fuoriuscire le viscere per poi iniziare a dilaniare a morsi la carne...
     
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    Il serafico quadretto ebbe vita breve, infranto dalle urla di terrore di un manipolo di individui che, apparentemente, si allontanavano di gran lena dall’epicentro di qualunque cosa avesse scatenato in loro quel sentimento di cieco raccapriccio. Era quasi affascinante constatare con quanta celerità ed efficienza il panico riuscisse a diffondersi, serpeggiando tra i malcapitati e divampando come una scintilla gettata su un foglio fradicio di combustibile, provocando le reazioni scomposte di una pletora di potenziali vittime d’un tratto dimentiche del momento di pausa che stavano godendosi.
    Ironico quanto effimera fosse la sensazione di sicurezza che, spesso, si tende a dare per scontata, preferendo una vita all’oscuro dell’incombenza del pericolo ad un’esistenza all'insegna della paranoia: in casi del genere, l’adagio secondo cui l’ignoranza sarebbe sinonimo di felicità sembrava molto meno cinico del solito.
    Tony fu costretto ad aguzzare lo sguardo nel tentativo di realizzare la causa dell’improvviso trambusto, più per macabra curiosità che per reali velleità supereroistiche; era arrivato alla conclusione che un futuro lontano dall’armatura era uno scenario insostenibile, sebbene fino a qualche mese addietro si fosse illuso di essere finalmente riuscito ad appendere i ferri del mestiere al chiodo, ma ciò non implicava che fosse anche disposto a scardinare le proprie restrizioni in un’unica soluzione, ignorando bellamente di starsi muovendo in equilibrio sul ciglio di un baratro molto profondo. Si ritrovò a pensare a come i drogati finissero per somigliarsi un po’ tutti: era praticamente il corrispettivo superumano di un malato terminale che accampava scuse per indulgere ancora una volta nello stesso piacere perverso che ne aveva eroso la salute, ma non domo tentava comunque di razionalizzare il suo bisogno spasmodioco e deleterio di un’altra dose, un’altra boccata, un altro sorso, un altro volo con la corazza, come se una somministrazione in piccole quantità non lastricasse lo stesso, mortifero percorso verso l’oblio eterno garantito da un abuso sregolato.
    All’improvviso, alla cacofonia di voci si aggiunse l’inconfondibile puzzo metallico di sangue appena versato. Stark se lo immaginò sgorgare a fiotti da una salma ancora calda, la gola straziata, gli occhi ciechi a mostrare il bianco, ed inorridì al constatare come il sentimento di repulsione fosse contaminato da una stilla, ben percepibile, di puro piacere maniacale: Iron Maniac era lì, pulsante come una metastasi, appena sotto la sua pelle, appena sotto la calma piatta del raziocinio.
    Come in trance, avanzò in direzione opposta rispetto alla fiumana di gente, urtando e facendosi urtare con noncuranza, apatico, bruciando ad ampie falcate lo spazio che lo separava dal luogo della tragedia.
    Infine lo vide: l’essere, abominio ferino dalla forma vagamente antropomorfa, lordo di sangue, ebbro di una gioia malsana, animalesca, prono sul corpo orribilmente squarciato della sua preda.
    Agì di puro istinto. La corazza lo ricoprì, fluendo sulle sue membra come un fiotto di metallo fuso, e si consolidò assumendo l’aspetto consueto. Tony sentì i sensori del sistema che si interfacciavano alla sua psiche e per un breve istante provò un’estasi quasi orgiastica, prima di ritrarsene disgustato non potendo fare a meno di rievocare l’immagine del mostro e di quella pulsione così simile alla sua che le tracimava dagli occhi fessurati.
    Gli si scagliò contro, in religioso silenzio, i repulsori che rombavano sotto i suoi piedi mentre si librava in aria per poi impattare contro il bersaglio con un pugno potenziato dall’impeto.
     
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    parlato PK
    pensieri PK
    parlato UNO
    UNO in auricolare


    Erano passati dei giorni dal fattaccio di Los Angeles. Era partito per un colloquio di lavoro ed era finito quasi morto nel suo lurido appartamento.
    Il Dr. Murshroom l'aveva conciato per le feste, lui aveva fatto l'eroe sperando in un lieto fine che però non si era palesato.
    Si era scontrato con qualcosa di troppo grande, troppo potente. Probabilmente anche la sua alleata cristallina non sarebbe stata alla sua portata.
    Aveva salvato le penne soltanto grazie all'intervento fortuito di UNO, che aveva deciso di trascinarlo via dallo scontro.
    Sarebbe morto, di certo, o peggio: prigioniero, trofeo.

    UNO lo riportò in volo fino a casa e gli prestò le cure mediche del caso. Aveva riportato fratture e ferite gravi, che grazie alla sua tecnologia era riuscito a risanare. PK non aveva parlato per giorni, umiliato e mesto.

    Uscì per una passeggiata, come suo solito, come aveva fatto altre decine di volte da quanto esule in quella dimensione. Central Park, polmone verde di quella folle, folle metropoli.
    Utilizzava il solito ologramma per mimetizzarsi tra gli umani: un uomo sopra i trenta, con un aspetto trasandato e l'aria da sfigato. Il suo perfetto corrispettivo umano.

    Vagò per un po', sfuggendo ai suoi pensieri: si sentiva, per la prima volta da quando vestiva i panni di eroe, totalmente impotente. Una nullità.
    PK era per lui l'appiglio per una vita migliore; PK era forte, coraggioso, eroico. Invece ora stava capendo quanto PK e Paperino fossero simili: inutili e fuori luogo.

    UNO, amico... grazie.
    Oh, indovina chi non è muto?
    Pensavo non mi avresti più rivolto la parola.

    Sono stato orgoglioso e stupido. Mi hai fatto sembrare un codardo, in mezzo a quegli eroi. Però mi hai salvato la vita, quindi grazie.
    Strano modo di scusarsi, ma poco importa: prego, capo.

    Quella breve conversazione finì subito, ma gli servì a sentirsi meglio.
    UNO, per quanto virtuale, era l'unico amico che gli rimaneva. Esule in un mondo straniero, come lui, tentava di adattarsi e provvedeva alla sopravvivenza di entrambi. Gli doveva molto.

    Notò il vociferare di una piccola folla, incuriosito si avvicinò: c'era una... donna gatto? che dilaniava il corpo di un poliziotto.

    SQUACK!

    Immediatamente si materializzò lo scudo EXTRANSFORMER e dal cappello fuoriuscì il costume. Stava per lanciarsi addosso alla bestia - per quanto fosse comico, un papero stava per attaccare una specie di tigre - quando un robot, o qualcuno con un'armatura futuristica agì prima di lui, con un pugno minaccioso.

    PK decise di dargli supporto ed attese che la bestia venisse colpita - o schivasse il colpo - per poi far fuoco con un raggio laser ardente.

    UNO, mi sa che c'è del lavoro per noi.
     
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    nella natura selvaggia, nelle distese della savana africana il problema più grande per un predatore è l'interferenza alimentare di altri carnivori o di animali necrofagi. un felino come il Ghepardo ad esempio, una volta che è riuscito a catturare e ad uccidere una gazzella, cosa non facile nemmeno per un predatore con le sue abilità, corre il rischio di essere attaccato da un predatore più grande come il Leone che può tentare di ucciderlo o di sottrargli la sua preda. oppure può scontrarsi con un branco di predatori più piccoli ma più numerosi, come iene o licaoni, o ancora può vedersi sottratta la preda dai mangiatori di carogne...gli avvoltoi.
    nella civiltà, nella giungla urbana il più grande problema di un predatore è l'interferenza alimentare degli individui civilizzati bigotti e oppressivi che non comprendono e accettano il suo stile di vita selvaggio.
    quel giorno mentre Heka era intenta ad alimentarsi gli avvoltoi e le iene si palesarono nella forma di due sedicenti eroi, che osarono criticare la Dea e il suo modo di vivere con la loro insignificante moralità mortale e che ebbero la tracotanza di aggredirla mentre stava mangiando...

    il pugno dell'uomo corazzato di metallo arrivò molto velocemente, troppo, la Dea-Ghepardo avvertì per un attimo il rumore soffuso dell'armatura liquida che fuoriusciva dal suo corpo, e percepì il rumore della corazza robotica che si attivava, ma la frenesia del cibo e del sangue la inebriava, tenendola distratta abbastanza a lungo da far si che quando finalmente ella riuscì a recuperare abbastanza concentrazione da volgersi verso il rumore, l'uomo corazzato di metallo era già in volo verso di lei. il poco tempo a disposizione e i sensi ancora ebbri del sangue, intorpidirono i suoi riflessi divini, lasciandogli il tempo di alzare semplicemente le braccia davanti al corpo per bloccare il colpo. il pugno potenziato dai propulsori e dall'esoscheletro dell'armatura impattò con immane potenza, facendo incrinare e vibrare le ossa degli avambracci della donna-felino, che a causa della quantità di moto del colpo ricevuto, si trovò a volare per una decina di metri e a rotolare sul terreno coprendosi di escoriazioni e di graffi. sfortunatamente per la dea, l'oltraggiosa aggressione non era terminata, un secondo vile aggressore era appostato e la colpì alla spalla sinistra con quello che sembrava un raggio di energia che la ustionò alla spalla, l'attacco termico fu abbastanza potente da far sì che la bruciatura raggiunse anche il tessuto dermico. ancora una volta nella sua vita, la dea-predatrice urlo di dolore.

    RRRRAAAAUUURRRR!!

    Heka si rialzò in piedi il più velocemente possibile, gli artigli di tutti e quattro gli arti sguainati pronti a maciullare le carni dei suoi nemici, le zanne sguainate minacciosamente in un ringhio animalesco più adatto ad una belva selvaggia e aggressiva che ad una donna e la pelliccia sulla schiena irta come se la paura e la rabbia l'attraversassero come una scossa l'elettrica. l'adrenalina pompava nelle sue vene insieme al sangue, il felino era pronto allo scontro. gli occhi guardinghi e circospetti, scrutavano e studiavano i suoi avversari, il cavaliere protetto dalla sua possente armatura di metallo, e....il papero mascherato da supereroe...

    eccoli, l'avvoltoio d'acciaio che disturba il mio pasto...e... tu cosa saresti Paperotto? il dessert?

    senza preavviso la dea-ghepardo scattò all'attacco, fulminea, l'istante in cui i suoi muscoli si flessero e il suo corpo iniziò a muoversi fu quasi impercettibile, talmente fu rapido. In questa creatura che incarnava la velocità stessa del ghepardo, intenzione e azione erano la medesima cosa.
    Heka correva fulminea contro l'uomo corazzato, correva a quattro zampe parallela al terreno, scattando rapidamente a destra e a sinistra, finché, raggiunta la distanza di attacco, si lanciò in volo, come un missile rotante verso la spalla destra del nemico, le braccia che mulinavano come lame circolari per massacrare con profonde lacerazioni la spalla del malcapitato nemico...per atterrare poi sul ramo di un albero alle sue spalle...
     
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    Le sue nocche guantate di corazza impattarono contro gli avambracci della creatura, sollevati a protezione delle aree più esposte del corpo. Tony sbuffò, arricciando il labbro in uno ghigno sghembo, il fiato che appannava leggermente il visore del casco; il sinistro scricchiolo di carne ed ossa che cedevano, impotenti dinnanzi alla furia del suo attacco, gli ricordò perché adorava indossare quell’armatura e, contemporaneamente, perché la aborriva: dentro quel titano di metallo amorfo Stark abbandonava l’ultima parvenza di umanità, l’estremo lembo che lo teneva labilmente ancorato ad uno stato di esistenza che, da sempre, aveva ritenuto stargli terribilmente stretto. Era quasi sacrilego che una mente superiore come la sua fosse costretta in un simulacro decadente di pelle e sangue, effimero, caduco, inadatto. Anthony Stark meritava di più, di meglio! Un vascello eterno che fungesse da perfetto complemento ad un intelletto assoluto, un tempio che onorasse a dovere quel prodigio imperituro della natura. La corazza era ciò che gli spettava di diritto, insieme viatico per l’immortalità e monumento al proprio doveroso status di oltreuomo: il suo genio, sublimato in asettico, freddo metallo incontaminato.
    Non era come quegli eroi che vi assurgevano per mera casualità, per uno scherzo del destino impossibile da imbrigliare o replicare, no! Era stato egli stesso a dotarsi dei mezzi per ascendere, padrone indiscusso del proprio fato.
    Si riscosse. Il colpo aveva fatto ruzzolare via l’essere ferino, dopo che questi ne aveva assorbito l’impeto senza, però, restare saldo sulle gambe, ma non fu quello ad infrangere i vaneggiamenti della sua mente malata, ad un passo dal capitolare ad Iron Maniac. Il merito fu del cadavere, che come conseguenza del rapido scambio tra i due avversari era stato sbalzato poco lontano da dove Shaman l’aveva atterrato per pasteggiarvi ed ora giaceva scomposto, a pancia in su, gli arti in una posizione orribilmente innaturale ed una grottesca scia di sangue a screziare l'erba descrivendone il tragitto. Le interiora erano esposte, visibili dall’osceno squarcio che straziava il ventre come una vorace bocca gigantesca, i lembi frastagliati e carmini. Il volto era perlaceo, distorto in un’espressione di panico che adesso, priva di efflato vitale, corroborava il macabro parallelo con una statua di cera terribilmente realistica plasmata dalle mani di un artista sadico.
    Al vederlo, la rabbia di Tony sfumò, così come la sua boria delirante. L’intento era stato quello di vendicarlo, di punire un atto insensato tanto simile ai suoi, efferato e terribile, a suggello del potere di controllo dell’uomo sull’armatura - o così gli piaceva raccontarsi, suggerì maligna una parte di sé - ma erano bastati pochi secondi di autonomia perché il mostro prendesse il sopravvento. Aveva fallito.
    Cadde in ginocchio, fiacco, mentre la corazza si ritraeva lasciandolo inerme e tremante, indifeso davanti all’assalto dell’assassino che lo superò, fulmineo e silente come una raffica di vento, aprendogli tre lunghi solchi nella spalla quale unico segno del suo passaggio.
    Tony sussultò dal dolore mordendosi il labbro fino a sbiancarlo, delle goccioline di sangue che già scorrevano verso il mento, e si afferrò la ferita con la mano opposta, nel vano tentativo di tamponare un’emorragia che che stava ormai infradiciandogli la parte superiore della maglia.
     
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    La specie di bestia venne colpita in sequenza sia dal robot che dal laser del papero.
    Poco dopo, la macchina antropomorfa perse il suo rivestimento metallico rivelando un uomo al suo interno. Perse l'armatura proprio nel momento in cui ne avrebbe avuto più bisogno: quella bestiaccia felina lo stava attaccando. Gli affondò gli artigli nella carne mentre lui, in ginocchio, soffriva in silenzio.

    Il papero rimase per un secondo interdetto: sembrava così potente quel mostro metallico, eppure l'omino al suo interno appariva piuttosto misero e malconcio.

    Il propulsore dello scudo vibrò, una luce bianca e azzurra ne scaturì ed allo stesso tempo PK schizzava in volo verso l'uomo. Si pose di fronte a lui, dandogli le spalle e guardando dritto verso la bestia, che sembrava essersi allontanata ed arrampicata su un albero.

    Era in posizione piuttosto eroica, con lo scudo proteso a difesa dell'uomo ferito.

    Amico, tutto bene?
    Non sarebbe stato meglio tenere addosso i "vestiti pesanti"?


    Paperino aveva pensato ad altre 4/5 battute ad effetto, tutte migliori e mooooolto più fighe, ma ovviamente come al solito al momento di aprire il becco gli veniva fuori sempre quella meno carina.

    ...Devo cominciare ad appuntarmele...

    Gattaccio, vieni fuori!
     
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    quando la aveva aggredita l'uomo di metallo aveva mostrato una grande forza e una straordinaria velocità per un mortale, per questo Heka, quando venne il momento del contrattacco, si era preparata ad una resistenza feroce, anzi considerava l'eventualità di riuscire a colpire il suo nemico con quel primo attacco, un evento impossibile. Quando sentì i suoi artigli affondare nella spalla dell'uomo, e il sangue colare tra le sue dita, Heka rimase interdetta; e, una volta atterrata sull'albero, quando guardandosi indietro, al posto della corazza di metallo, vide un semplice umano dal volto sfigurato che si tastava sofferente la spalla, Heka rimase sbigottita, e poi delusa. Non si aspettava che fosse così facile. Non desiderava che fosse così facile. Quel mortale non meritava tanta misericordia. Aveva osato attaccarla, ma peggio ancora, aveva osato disturbarla durante il suo pasto. Non sarebbe stato un grosso problema in fondo, se il mortale gli avesse offerto una vera sfida. Heka amava mangiare, ma preferiva di gran lunga cacciare, e se c'era qualcosa che amava più di qualunque cosa era combattere. e l'uomo di metallo Attaccandola, aveva interrotto il suo pasto, ma gli aveva offerto una sfida. la sua irritazione per l'aggressione, aveva così lasciato ben presto il posto all'eccitazione, il dolore per le ferite, l'adrenalina nell'aria, il sangue tra le sue zanne, avevano fatto presagire un combattimento con i fiocchi, e la dea ghepardo era tutta in fermento, la gioia selvaggia dello scontro, pervadeva il suo essere come una scossa elettrica; e ora, quel gracile umano che aveva sostituito la corazza sembrava aver gettato la spugna.

    l'irritazione di Heka si tramutò in disgusto, poi in odio e in ardente furia. dalla sua pelliccia irta come aculei che ondeggiavano al vento, feromoni di rabbia e disgusto si diffondevano copiosi nell'aria intorno...

    NOO! NON PUOI! NON E' COSI CHE DEVE ANDARE! NON OSARE ARRENDERTI ORA! IO MERITO MOLTO DI PIU'!! mi hai attaccato con la furia e l'arroganza di un dio di metallo, mi hai offesa ferendomi mentre mangiavo, e ora vuoi togliermi il combattimento che mi spetta? tuu..MI DEVI IL SANGUE MORTALE, MI DEVI LA GUERRA UMANO!! e io l'avrò... Heka saltò furiosa verso l'umano come una tigre selvaggia artigli protesi in avanti e zanne sguainate, puntava alla gola come una leonessa che caccia una zebra, l'istinto felino guidava il suo attacco letale, l'umano e il suo alleato pennuto avevano una sola possibilità neutralizzare il suo attacco, altrimenti, l'umano si sarebbe trovato il collo azzannato dalle fauci della dea, e il collo spezzato...
     
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