Tempo scaduto

Age of the Fittest : l’avvento di Carestia

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    Il suq del Cairo non mancava mai di stupire il turista occasionale che, determinato a far valere fino all’ultimo centesimo del costoso pacchetto tutto compreso che si era concesso, si premurava di farvi tappa: il turbinio di stimoli e sensazioni che lo investiva appena vi metteva piede era talmente caratteristico da potersi definire unico nel suo genere, certamente diverso da qualsiasi mercato occidentale che, nel suo composto grigiore, impallidiva dinanzi al caos policromo dei bazar. Le voci dei mercanti, intenti ad imbonire gli avventori più ingenui, si levavano come un sol coro, stranamente omogeneo nel suo insieme, mentre un odore indefinibile avvolgeva l’intero quartiere come un sinuoso drappo, cangiante, ora appetitoso ed irresistibile, ora di un rivoltante sul quale era meglio non farsi troppe domande. E se il detto che l’occhio vuole la sua parte conteneva un fondo di verità, ebbene, il suq si impegnava a tenervi fede, sfoggiando un baluginio di tinte così vivide da rivaleggiare con gli acquerelli di una tela preziosa. Quel microcosmo era vivo e pulsante, e pur con tutte le sue contraddizioni che, ad un esame più attento, rischiavano di incrinare l’aura fiabesca che tanto avrebbe fatto parlare il turista una volta tornato a casa, restava pressoché identico alla sua controparte primigenia, quasi fosse possibile respirare a pieni polmoni illudendosi di incamerare lo stesso ossigeno degli antichi faraoni.
    Certo, come ogni piccola meraviglia anche questa perdeva parte del suo fascino agli occhi degli indigeni che, bene o male, avevano a che farvi ogni giorno, ma è altrettanto noto che spesso l'esperienza restituisce ciò che toglie dallo stupore sotto forma di conoscenza: se i visitatori si beavano della patina di adorabile caos che ammantava il mercato, attirandoli a sé come un ben orchestrato specchietto per allodole, gli avventori più scafati andavano oltre, consapevoli che a volte il fiore più bello è anche il più letale. Chiunque fosse abbastanza arguto da dedurlo, comunque, in genere seguitava con l’unica considerazione logica del caso: il veleno è tanto una sentenza per gli stolti quanto un’opportunità per chi sa coglierla... e senza dubbio il suq del Cairo era prodigo, di opportunità. Bastava solo essere abbastanza svegli per accorgersene ed ancor di più per non rimanere impantanati, perché non è detto che colui che si dimostra capace di vedere sia altrettanto abile quando gli si chiede di agire.
    La bancarella di Nakak era proprio uno di quegli esempi tanto calzanti da divenire emblematici: agli occhi del profano, stupido piccolo turista con la sua fotocamera piena di istantanee e la testa altrettanto piena di mosche, quei tavolini pulciosi e corrosi dal sole fino a mostrare l’anima del legno erano zeppi di cianfrusaglie, di miserabili tomi muffiti, patetici e matusalemmici, che ben si sposavano con il macilento proprietario, un vecchietto smagrito e coperto di stracci con la pelle d’ebano ed una lunga barba stopposa. Eppure chiunque avesse avuto un po’ di esperienza in più avrebbe constatato, con un certo stupore, che apparentemente il miserrimo Nakak, seduto lì bravo sul terreno polveroso a gambe incrociate, era il fiero possessore della propria impresa da non meno di qualche centinaio di anni... ma il turista occasionale, tutto intento a non perdersi nulla di quanto il suo travel package potesse e dovesse offrirgli - ed a quel prezzo poi! - non aveva mai tempo per quel vecchio bacucco seduto chiappe a terra, s’intende.
    Partiamo specificando che gli eventi di questa ruolata sono posteriori a qualunque altra giocata ti veda attualmente coinvolto, se ce ne sono. Ovviamente Nakak è il tipico venditore di tomi magici a cui stregoni ed incantatori di ogni sorta si rivolgono, tra una sortita e l’altra o semplicemente per accrescere il proprio potere aggiungendo qualche nuovo arcano al loro bagaglio. Diciamo che Marcus è un cliente affezionato che ha deciso che è giunto il momento di controllare se il vecchio ha qualche novità degna di nota.


    Edited by |Gil-galad| - 30/3/2019, 09:22
     
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    Erano davvero parecchi anni che non lo incontravo, ma dopo tutto quello che era successo negli ultimi tempi avevo pensato che non sarebbe stata una brutta idea andarlo a trovare. Ogni volta, trovavo nascosto tra i suoi averi, qualcosa di nuovo e di sorprendente...Non solo i suoi oggetti, ma anche lui era sorprendente. Forse si trattava della persona più enigmatica che avessi mai conosciuto. Una volta avevo provato a chiedergli come facesse a rinvenire tutte quelle meraviglie, ma lui non me l'ha mai voluto dire, così ho smesso di domandarglielo. Allo stesso tempo avevo cessato di interessarmi alla sua età. Per una persona come me infatti è normale conoscere persone e poi vederle morire. Mi era capitato talmente tante volte che ormai ci avevo fatto l'abitudine...ma con lui era diverso. Da sempre ho percepito una gran quantità di tempo in lui, ma per rispetto non ho mai usato i miei poteri sulla sua persona. "Tra un mese e ventisette giorni saranno ormai tre secoli e mezzo che vengo a farti visita. Vero Nakak?" Pensai con un mezzo sorriso. Ipotizzavo però che fosse ben più vecchio. Adesso come allora infatti aveva sempre avuto la stessa faccia, la stessa espressione, la stessa pelle cotta dal sole e gli stessi vestiti consunti dagli anni...

    Stavo camminando tra la solita folla del mercato cittadino, mentre gli odori tipici di quel luogo mi inebriavano. Il Cairo era un luogo turistico, ma non si poteva essere degli sprovveduti per girare in una città come quella. Perciò le folle di turisti erano sempre seguite da una guida esperta. Per certi versi consideravo quella città un luogo magico e come si sa la magia ha sempre due facce per la stessa medaglia..."Bisogna sempre scegliere con attenzione quale usare..." Così, mentre pensavo sia all'oscurità che si celava dietro l'angolo sbagliato, sia alle bellezze che poteva offrire una città variegata come quella, mi avvicinai al vecchio seduto per terra a gambe incrociate. Guardava a terra, come era solito fare con gli occhi scuri come due pozzi neri. Nonostante l'età avanzata, gli occhi erano ancora accesi e vigili. Non erano velati da quel bianco tipico della vecchiaia che preannuncia la morte, al contrario sembrava che quest'ultima si fosse scordata di lui. Aspettai ad avvicinarmi al tavolo pieno di vecchi tomi coperti di polvere, mentre un gruppetto di giovani donne coperte da un velo sottile passano davanti alle bancarelle ridendo tra loro ed additando alcuni monili del venditore accanto a Nakak. Sotto quelle vesti che ne celavano in parte il volto e le forme, potevano trovarsi delle splendide donne, ma ora non ero venuto per divertirmi. "Quantomeno non ora" Pensai, tornando per un attimo con la testa alla notte precedente nella mia suite al Ramses Hilton. Scacciai però i miei pensieri ed osservai quindi con attenzione ciò che si trovava sul piano il legno davanti a me posto a mo' di tavolo. Passarono alcuni minuti in cui il venditore non disse nulla ed io attesi paziente. "La pazienza e la virtù dei forti." Recitava un detto conosciuto più o meno in tutto il mondo. Con Nakak poi era sempre così. Con lui non servivano troppe parole. A volte pensavo che sapesse già il motivo per cui ero lì, altre volte era lui ad indicarmelo e altre volte ancora non mi aveva nemmeno mai parlato. Così attesi in silenzio per scoprire in quale di quelle tre situazioni mi trovavo. "Coraggio, non saluti un vecchio amico che è venuto a trovarti?"
     
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    Per Nakak il concetto di tempo si era svuotato di ogni reale significato da parecchi decenni; nei lunghi secoli che gli era stato concesso di vivere aveva visto frotte di individui insignificanti affrettarsi indefessi, privi di una vera meta ma assolutamente determinati a giungervi comunque il più in fretta possibile. Molti sostenevano che nulla rimane sempre uguale a sé stesso, ma il vecchio mercante aveva imparato che, in realtà, è solo la patina più esterna a mutare, continuamente soggetta ai capricci delle volubili menti umane: il nucleo duro è testardo ed ostinato, refrattario ad ogni cambiamento come il più abitudinario degli anziani, e per ogni uomo, che si trattasse di un antico Tuareg soffocato dalle sabbie del deserto o di un impudente turista del nuovo millennio, la fretta restava la pulsione più profonda. La fretta, la cattiva consigliera... eppure tutti sembravano essersi scordati del calzante appellativo.
    Non c’era da stupirsi, quindi, se agli occhi di un profano (o almeno, così li avrebbe definiti Nakak con una compiaciuta nota di disprezzo) i suoi movimenti sembrassero rallentati. Anzi, di più: tutto, del dannato vecchiaccio, pareva svolgersi al rallentatore, come in una sequela di diapositive che il proprietario sfoggia con manifesto orgoglio, noncurante della noia dei malcapitati spettatori. Chi non lo compativa, convinto che tale lena fosse inevitabile sintomo dell’età avanzata, finiva direttamente per ignorarlo, incapace di adattarsi a ritmi così compassati. Qualunque fosse il motivo di fondo, comunque, il risultato era lo stesso: Nakak era un paria, praticamente invisibile ai più... ed al vecchio andava benissimo così. Dopotutto, la gente con cui intratteneva affari era solitamente ben più eccentrica di lui.
    Quella mattina fissava il terreno; c’era qualcosa di rilassante, persino di piacevole in quel manto inamovibile e sempre uguale, costantemente sferzato da mulinelli polverosi ma incapaci di scalfirlo. Per tanti versi, i due vegliardi erano molto simili, reliquie atemporali e, probabilmente, anacronistiche. Vide delle donne soffermarsi sui ninnoli del suo vicino di bancarella, uno dei tanti spettri effimeri che si erano avvicendati durante gli anni, e le sentì ridacchiare spensierate in un guizzo di veli quasi impalpabili. Un attimo dopo, erano già sparite: i tempi cambiano, ma la fretta, beh, quella resta sempre la stessa.
    Eppure, forse quel giorno celava davvero una sorpresa inaspettata, qualcosa capace di intaccare la sua scorza di inedia ben curata.
    Marcus...
    Sussurrò, flebile, senza davvero muoversi. Il preludio di un sorriso gli arricciò un angolo delle labbra, ma il guizzo fu così impercettibile che anche lo spettatore più attento avrebbe dubitato di averlo visto per davvero.
    Iniziò a levare il capo, come un verricello che solleva un carico, lentamente, mortalmente lento... poi si arrestò, di colpo. Strabuzzò gli occhi, su cui normalmente le palpebre indugiavano perennemente a mezz’asta, esibendo pupille dalle quali ogni contorno di iride si era dileguato, tanto era il terrore, e fece qualcosa di totalmente inaspettato: arretrò, senza staccare il sedere da terra, trascinandosi con mani e piedi ed alzando una fitta cortina di polvere color ocra. Lo sguardo perennemente fisso su qualcosa, qualcuno, che appena dietro Marcus gli aveva poggiato una grossa mano sulla spalla.
    Si, indubitabilmente quel giorno celava davvero una sorpresa inaspettata... ma non era la visita del vecchio amico.
     
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    L'uomo sembrava impassibile di fronte al concetto di tempo. Rimase fermo immobile per svariati minuti e io feci lo stesso. La gente continuava a passarmi a fianco indaffarata o semplicemente non interessata. Pochi si soffermavano per alcuni secondi a vedere la particolare scena e tanti sembravano quasi non accorgersi di nulla, come se quel piccolissimo pezzettino di mondo si fosse appena staccato e stesse fluttuando in una dimensione parallela. Nulla riusciva a turbare il vecchio Nakak, che sembrava molto più interessato alla polvere sul terreno, che al resto del mondo. E lo stesso valeva anche al contrario: il mondo sembrava non curarsi di lui o aveva smesso di farlo molto tempo fa. Tutto scorreva lento e placido, proprio come piaceva a lui. Sentivo che in quei momenti era in pace con se stesso e riusciva quasi a trasmettere quella sensazione anche a me. Pur essendo uno stregone che controllava il tempo a volte anche io commettevo l'errore di perdere il contatto con esso, ma in quegli istanti riuscivo a sentire come se lo scorrere del tempo mi stesse accarezzando. In quei momenti mi sembrava di tornare agli anni di quando avevo il pieno controllo e potevo gestire tutto. "Tutto."
    In quel momento fu proprio Nakak a riportarmi alla realtà pronunciando il mio nome.

    Marcus...

    Bastò una parola, ma con essa mi comunicò ben di più. "Credo di poter essere una delle poche persone sulla faccia della Terra, se non l'unica, che possa affermare di conoscere quell'uomo...". Perciò nella sua voce riuscii a cogliere una leggera nota di sorpresa per la mia visita ed anche un po' di felicità. In seguito l'uomo cominciò ad alzare lentamente la testa, ma quando finalmente guardò nella mia direzione la sua reazione mi lascio di stucco. Spalancò gli occhi come se avesse visto un fantasma e arretrò all'istante. Nello stesso istante sentii qualcuno poggiare una mano sulla mia spalla. Mi voltai per vedere quale uomo poteva tanto sconvolgere Nakak, ma mi ritrovai davanti una montagna. Un energumeno enorme si stagliava davanti a me. Superava abbondantemente i due metri ed aveva un fisico possente. Era vestito con abiti particolari: una sorta di tonaca variopinta con colori rossi ed arancioni. Essa gli copriva il busto lasciando scoperte le braccia muscolose. Sopra le gambe invece portava dei semplici pantaloni color sabbia. Somigliava all'abbigliamento di un monaco, ma di quelle fattezze non l'avevo mai visto. Volgendo lo sguardo verso l'alto invece si poteva vedere il suo collo taurino che sorreggeva un testone pelato e coperto di un intricato disegno di tatuaggi. Aveva gli occhi leggermente allungati e le labbra piccole. Era molto abbronzato, ma non sembrava di colore. Aveva un misto di tratti fisici che non mi facevano capire a quale razza potesse appartenere. Inoltre la corporatura possente poteva intimorire, ma lo sguardo dell'energumeno non era duro e non sembrava minaccioso. "Ma potrebbe essere molto bravo a nascondere le sue intenzioni." Pensai valutando la situazione. "In tre secoli non avevo mai visto Nakak reagire in quel modo. Questo tizio deve avere qualcosa di particolare o deve essere estremamente pericoloso."

    Sembra che non sia l'unico ad essere interessato a questa bancarella. Vi sono esposti volumi interessanti non credete?

    Chiesi elusivo all'uomo. Poi senza aspettare la sua risposta:

    Sono un mercante di libri antichi, se vuole posso darle qualche consiglio su certi tomi.

    Provai a mentire, anche se ipotizzavo che non fosse qui per acquistare.
     
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    Così come le sue membra, anche la mente di Nakak viaggiava ad un ritmo del tutto personale. Molti l’avrebbero trovato insopportabile, imputando l’estrema lentezza ad un ritardo o a qualche forma di demenza senile, ma la verità è che quando si è in vita da così tanto tempo anche gli spunti interessanti iniziano a latitare. Non aveva mai creduto alle panzane di quei vecchi lama, assorti in ininterrotte meditazioni sui massimi sistemi che gli consumavano il cervello, alla disperata ricerca delle risposte fondamentali prima che l’ultimo granello di sabbia, raggiunti i propri simili nell’altra estremità della clessidra, sancisse che il loro tempo era giunto: anche quello era sintomo della fretta che li attanagliava, intimando loro di darsi da fare prima che fosse troppo tardi. Chi si era lasciato alle spalle tali angosciose prerogative spesso trovava la pace nella semplice contemplazione, nel constatare con orgoglio di essere immune dal giogo delle ere. O, almeno, questa era la sua filosofia, e non poteva lamentarsene.
    Adesso, invece, al vecchio sembrava che un intero alveare si fosse intrufolato nella sua scatola cranica: innumerevoli pensieri gli affollavano la mente, accavallandosi, spesso amorfi o privi di un reale senso compiuto, ma tutti accomunati da un terribile terrore di fondo. Se avesse potuto avrebbe avvertito Marcus, urlandogli di scappare, noncurante della morbosa curiosità del resto degli avventori che, per la prima volta, avrebbero manifestato un interesse tanto inopportuno quanto indesiderato, ma il suo corpo era come paralizzato. Ironia della sorte, non riusciva a muoversi proprio quando ne avrebbe avuto più bisogno; evidentemente aver ignorato le proprie emozioni così a lungo lo aveva portato a disimparare come gestirle senza esserne soverchiato.
    Sei stato molte cose, Marcus Tikbell, ma il mestiere del mercante non ha mai fatto per te: hai sempre preferito impadronirti della conoscenza, non smerciarla, e d’altronde il tempo non ti è mai mancato, no? Se c’è qualcosa che suscita il mio interesse, qui, non è di certo questa carta straccia... sei tu.
     
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    A quanto pare quell'uomo enorme non era lì per i libri, ma bensì per me:

    Sei stato molte cose, Marcus Tikbell, ma il mestiere del mercante non ha mai fatto per te: hai sempre preferito impadronirti della conoscenza, non smerciarla, e d’altronde il tempo non ti è mai mancato, no? Se c’è qualcosa che suscita il mio interesse, qui, non è di certo questa carta straccia... sei tu.

    A sentire il mio nome un brivido mi corse lungo la schiena. Delle persone che mi avevano conosciuto con il mio nome completo ormai non era rimasta neppure la cenere. Ai più io ero semplicemente Marcus, il ricco imprenditore, con un roseo futuro come broker finanziario. Anche se già, quel futuro, mi sembrava lontano. Quando quella donna di cristallo era comparsa nella mia vita tutto era cambiato un'altra volta...Quest'uomo però pareva conoscermi fin troppo bene. E si che negli anni ero stato attento e avevo preso le mie precauzioni. Proprio per questo motivo non ero ancora diventato una cavia da laboratorio, nelle mani di qualche folle governo."Ed ora arriva lui, mi chiama per nome, spaventa a morte Nakak e sembra essere particolarmente informato sul mio conto...forse le recenti attività dello Zodiac devono aver tastato qualcosa di sbagliato." Pensai. Però avevo messo piede nella città del Cairo solo lo scorso pomeriggio... "Ciò significa due cose: o questo tizio ha avuto un enorme colpo di fortuna a trovare proprio me, in mezzo a milioni di persone, in uno dei mercati più affollati del pianeta, o stava seguendo le mie tracce già da prima." Considerato ciò che ha detto quindi... "La prima opzione è sicuramente una stronzata, mentre per la seconda devo capire quanto devo preoccuparmi..."

    Mi sembra di capire che è molto (troppo) informato sul mio conto. Non nego che la conoscenza sia un bene estremamente affascinante, ma allo stesso tempo è qualcosa di molto prezioso...se capisce a cosa mi riferisco. Ma tralasciando i vagheggiamenti su cosa potrei o non potrei fare con essa, sto morendo dalla voglia di conoscere il nome di colui che già pronuncia il mio come se fosse un caro vecchio amico...

    Intanto alcune persone stavano cominciando ad avvicinarsi incuriosite da quell'omone che si era fermato proprio davanti ai libri di Nakak. Tra l'altro, proprio quest'ultimo, sembrava aver fatto ritorno nel mondo e coloro che lo conoscevano, che erano abituati a lavorare vicino alla sua postazione e che spesso si dimenticavano della sua esistenza, ora erano sconcertati dal vederlo in quello stato. Ormai si erano abituato a considerarlo quasi un vegetale, privo di emozioni e con le funzioni vitali ridotte al minimo. Adesso però sembrava che il poveretto stesse per esplodere per colpa di ciò che in tutti quei secoli aveva celato dentro di lui...

    ...e magari sapere come come mai la mia persona è diventa di suo interesse.

    Conclusi la frase di prima, come se stessi discorrendo con un normale sconosciuto al bar. Qualcosa dentro di me però sembrava avvertirmi, sentivo una strana sensazione salirmi su per i nervi. Mi ricordava molto quella specie di prurito che avvertivo alla base del collo e che mi aveva salvato il culo di in diverse situazioni. "Forse devo stare attento." Pensai. Forse dentro di lui c'era ben più di quello che traspariva e non si poteva mai sapere quanto qualcosa fosse effettivamente pericolosa, fino a quando non la provava sulla propria pelle...
     
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    Nonostante Nakak fosse ancora paralizzato dalla paura, la sua reazione era stata talmente spontanea ed inaspettata da attirare comunque un notevole capannello di persone intorno allo strano trio. Anzi, probabilmente vedere il vecchio venditore in quello stato era, perlomeno per coloro che ne conoscevano la leggendaria imperturbabilità, ancor più straniante di vederlo comportarsi come una persona normale. Tutti gli altri, invece, erano semplici passanti intrigati tanto dal nugolo di curiosi, altrettanto impazienti di scoprire cosa stesse accadendo di così insolito intorno all’anonimo banchetto, quanto genuinamente colpiti dalle fattezze straordinarie del colosso che torreggiava sopra chiunque altro. Non li si poteva biasimare: non solo l’uomo era fisicamente impressionante, capace di instillare timore o ammirazione semplicemente con la propria prestanza, ma era dotato di un’espressione austera e distaccata che lo rendeva simile ad un’antica statua. Le sue fattezze non spiccavano per originalità, prese singolarmente, ma nel loro insieme parevano trasfigurarsi, come se alludessero a qualcosa di più solenne celato appena sotto la superficie. C’era una sorta di alone intorno alla sua figura, un presagio, non necessariamente malvagio o benefico quanto, piuttosto, atavico: era come se irradiasse un’aura di regalità.
    La conoscenza ha un prezzo, dici bene. Eppure, secoli di studi non ti sono bastati per oltrepassare un concetto così... umano. Tu vedi la conoscenza come un mezzo per ottenere il potere, ma l’uso che ne fai è deludente. Un essere millenario che indulge ancora nei piaceri della carne, che si cela dietro misere spoglie umane, come un lupo che si finge agnello. Tu rinneghi la tua natura, e per cosa? Per crogiolarti nei vizi, nel benessere... come un mortale. Ma tu non lo sei, Marcus, dico bene? Gli uomini ricercano il benessere perché sanno di avere il tempo contato, ed è tale consapevolezza a dare valore a quello che fanno: piccole vittorie per piccoli, insignificanti, individui. Ma per te? Quanto può essere frustrante essere spettatore inerme dello scorrere del tempo, stregone? Realizzare che nulla è per sempre, tranne te? La bellezza delle tue concubine svanisce; i tuoi capitali, il tuo prestigio, si dissolvono ad ogni crisi; la vita di coloro che ami, si spezza. Eppure perseveri. Fingi che ciò che gli umani stessi reputano effimero possa gratificare te, che sei imperituro. Non sei stanco di svilirti? Di tarpare il tuo potenziale? Brami di sapere il mio nome, ma di nuovo dimostri di importi dei limiti, di guardare il dito invece della luna che, comunque, sarebbe perfettamente alla tua portata. Non importa chi io sia, ma cosa potrei fare per te.
     
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    L'uomo non rispose alla mia domanda, ma cominciò un'invettiva contro di me e contro il mio comportamento. Alcune domande e alcune affermazioni erano pungenti. All'udire quelle parole sentii smuoversi il terreno sotto di me, come se tutto ciò dietro a cui mi ero celato in questi lunghissimi anni, stesse lentamente scomparendo...pronto ad inghiottirmi come sabbie mobili.

    ...Tu vedi la conoscenza come un mezzo per ottenere il potere, ma l’uso che ne fai è deludente...
    ...Tu rinneghi la tua natura, e per cosa? Per crogiolarti nei vizi, nel benessere... come un mortale. Ma tu non lo sei, Marcus, dico bene?...
    ...Quanto può essere frustrante essere spettatore inerme dello scorrere del tempo, stregone? Realizzare che nulla è per sempre, tranne te?...
    ...Non sei stanco di svilirti? Di tarpare il tuo potenziale?...


    Ascoltai tutto quello che aveva da dire in silenzio. All'esterno rimasi calmo ed imperturbabile, ma all'interno stava crescendo una rabbia che non provavo più da molti secoli.

    Tu..tu non sai nulla di me...

    Dissi quasi con un filo di voce cercando di trattenere le emozioni che mi ribollivano nelle vene... Poi cominciai a rispondere con un tono di voce più deciso. In quel momento non mi importava delle persone che si fermavano ad osservarci e non mi interessava che capissero ciò che dicavamo. Quest'uomo però stava cercando di insinuarsi all'interno di antiche pareti che avevo eretto troppo tempo fa e non gli avrei permesso di creparle facilmente!

    Mi chiedi se sono mortale... Mi rimproveri i miei vizi, come qualcosa di avvilente... Mi dici che potrei ambire ad un potere più grande... Ma tu non sai nulla! Una volta era tutto più semplice, un tempo anche io pensavo di essere come loro!

    Dissi allargando le braccia come ad indicare tutte le persone che mi stavano attorno.

    A quanto pare però non lo sono e non potrò mai esserlo. Ma rimango comunque un essere umano...o almeno credo...e i miei vizi di mi aiutano a non uscire di testa, oltre che a divertirmi. Pensi di sapere come ci si sente ad uscire dal tempo? Un giorno ti svegli, ma non sai più chi sei e il tempo si dimentica di te... La fretta, la vecchiaia, la morte sono concetti che scompaiono e si dissolvono... ma anche concetti come l'amore perdono di significato. Che senso ha amare un persona per vederla soffrire e morire? E poi ogni quanto? Ogni cento anni? O meno? Dovrei ricominciare ogni volta? Dovrei rendere la mia vita normale? No, impossibile. Non credere che non ci abbia provato! E all'ora quel'è l'opzione? Ricercare il potere? Un potere più grande? Cosa potresti offrirmi che non potrei già ottenere?

    Gli dissi additando l'uomo, quasi fosse il colpevole delle mie pene che avevo sofferto da quando ero nato. Poi cercai di ritrovare la calma e tornai a parlare come se nulla fosse.

    Forse non sai che "il potere", qualsiasi sia il significato che vuoi dare a queste parole, viene da me anche se non lo cerco.
    Tu mi raggiungi sono adesso quando le mie capacità sono tornate ad assopirsi, ma se solo mi avessi trovato 18 anni prima forse non avresti avuto la sfrontatezza di parlarmi in questo modo... Sai il tempo è un concetto strano: semplice e complesso allo stesso tempo. Puoi cercare di capirlo, di controllarlo, ma sarà sempre padrone di se stesso. Per tutti, tranne per me. A volte però anche io sono costretto a lasciarlo andare...ed è solo per questo motivo che non ti posso cancellare dell'esistenza seduta stante.


    Pronunciai queste parole come se gli avessi comunicato la cosa più normale del mondo. Non c'era cattiveria nel tono di voce, forse solo un po' di rassegnazione per ciò che al momento non potevo più fare.

    Quindi, cosa può fare uno come te? Cosa sai di me e dei miei poteri? Cosa puoi offrirmi che non possa già ottenere con il tempo?
     
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    L’accesa discussione aveva monopolizzato l'attenzione di gran parte dei presenti, accrescendo la mole dei curiosi con la stessa rapidità con cui un grumo di neve, rotolando giù per un promontorio, si addensa ed ottiene le dimensioni di una valanga. Non tutti gli spettatori, però, avevano raggiunto un’opinione unanime sull’evento che si stava svolgendo dinnanzi ai loro occhi: alcuni, forse i più suggestionabili o, magari, i più attenti (ma c’era realmente differenza in questo frangente?) avevano preso i due figuri in parola, esibendo un’espressione stranita e spaventata non troppo dissimile da quella di Nakak; altri, invece, erano ancora titubanti, con uno sguardo corrucciato e confuso che saettava da un lato all’altro alla ricerca di qualcuno, o qualcosa, che potesse fare un po’ di luce; un ulteriore manipolo, infine, non aveva pensato nemmeno per un istante che potesse essere tutto vero e, con un sorrisetto sardonico e gli occhi di chi la sapeva lunga, era in fervente attesa che gli operatori uscissero fuori con le loro telecamere, si trattasse di uno scherzo o di qualche ripresa cinematografica a loro sconosciuta.
    Dal canto suo, il colosso aveva atteso che Marcus sciorinasse la sua filippica senza battere ciglio. Non un singolo muscolo si era mosso durante lo sfogo dell'interlocutore, non un fremito aveva perturbato quel cipiglio quasi serafico. Una mancanza di reazioni così ostentata, per certi versi, poteva risultare più snervante di uno scatto d’ira o un attacco diretto.
    Dai per scontate troppe cose, Tickbell. Forse mischiarti con questi insetti così a lungo ti ha reso impudente, oltre che egotista. La tua condizione non mi è nuova, ma per quanto... spiacevole sia, non è l’ostacolo insormontabile che tu l’hai resa, accecato dal torpore. Non esistono limiti invalicabili, ma ciò non significa che sia tutto a portata di mano. Dovresti essere grato della tua maledizione, perché è ciò che ti ha plasmato: ogni volta che cadi ti ergi di nuovo, rinnovato sì ma anche più forte, più consapevole di quanto fossi in precedenza. Senza una sfida diverresti molle ed ancor più insofferente di quanto già abbia deciso di essere; padrone del tempo ma, per assurdo, totalmente avvinto dal suo giogo, privo di uno scopo. Perché non esiste progresso, senza lottare.
    Si tratta di... evoluzione.
    Ma, ahimè, anche la natura a volte pecca. O meglio, i suoi ingranaggi agiscono in tempi fin troppo lunghi, anche per esseri come me e te. L’uomo pensa che aver superato lo stato di natura sia sintomo di progresso, ma in realtà quel che ha realizzato è un’aberrazione di sé. Come te, Marcus, anche loro si spacciano per qualcos’altro! Ma se tu pecchi di umiltà, forse troppo spaventato per rendertene conto, gli umani invece sono orgogliosi! Arroganti! Eppure l’esito è lo stesso: entrambi rifuggite dal vostro reale potenziale, chi per timore, chi per vanità. È ora che chi ha il potere agisca per rimettere le cose a posto, e che finalmente la legge del più forte torni a reclamare il proprio dazio!
    Quello che ti offro, Marcus Tickbell, stregone del tempo, non è meramente una cura per la tua condizione; non è vuoto potere; è uno scopo, un’illuminazione. Un posto che ti competa, finalmente, nell’ordine delle cose. Non sei un uomo, non sei un mortale: sei una forza, un innesco, la scintilla del cambiamento! Sei l’evoluzione personificata, incarnatasi per riportare equilibrio: seguimi e te lo mostrerò.

    E gli tese la mano.
     
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    L'uomo non aveva mosso un muscolo e non aveva detto una parola mentre io parlavo, quasi fosse diventato una statua. Solo alla fine del mio discorso riprese a comunicare. Inizialmente mi disse che forse mi ero adagiato sulla mia condizione e avevo passato troppo tempo con gli umani. Ma...come non dargli torto? "Ho passato quasi due millenni a vivere come una persona normale, quale non ero. Unico esemplare di una vita eterna che non avevo richiesto. Che avrei dovuto fare? Ho cercato di informarmi sulla mia particolare condizione, ho cercato di capire, di apprendere e di migliorarmi. Purtroppo però non è venuto a galla granché...Sembrava infatti che io sia il primo umano-eterno." Adesso però era arrivato quest'uomo a riaprire un ventaglio di domande, che avevo richiuso e buttato in fondo ad un pozzo ormai da molti anni.

    ...Senza una sfida diverresti molle ed ancor più insofferente di quanto già abbia deciso di essere; padrone del tempo ma, per assurdo, totalmente avvinto dal suo giogo, privo di uno scopo. Perché non esiste progresso, senza lottare...

    Per una volta, dopo tutto quello che ci stavamo dicendo non potevo che essere più d'accordo con il mio particolare interlocutore. Quando manca uno scopo la vita diventa vuota e spesso priva di significato...

    ...Quello che ti offro, Marcus Tickbell, stregone del tempo, non è meramente una cura per la tua condizione; non è vuoto potere; è uno scopo, un’illuminazione...

    "Cosa potrà mai offrirmi che non possa già ottenere? Quale scopo potrebbe stimolarmi a tal punto da evolvere ulteriormente? La mia vita infinita può davvero avere uno scopo degno di essere definito tale?" Queste e molte altre erano le domande che mi affollavano la mente mentre l'uomo mi invitava a seguirlo e mi tendeva la mano. "Negli anni mi era capitato molte volte di stringere la mano ad estranei che mi promettevano potere, fama, ricchezza a dismisura. Non per ultima era arrivata Acquarius che si prefiggeva di elevarci al pari degli dei per distruggerli e vendicarci di loro." In questi secoli avevo accettato molte richieste valide che avevano portato a dei frutti. Altre erano state dei semplici giochi e dei passatempi, altre ancora le avevo rifiutate capendo a priori che sarebbero state dei fallimenti. Questa volta però tutto era diverso..."Che devo fare?" Pensai. Stavolta si trattava di un enorme punto di domanda, al cui centro mi trovavo solo e solamente io...Tornare ad essere solo Marcus, o accettare il proprio passato per quello che era, così da scoprire un nuovo futuro? "Evolvere o morire?" In pratica era questo che mi si chiedeva...Forse non sarei davvero morto nel vero senso della parola, ma avrei continuato ad annullare la mia persona, i miei obbiettivi...me stesso insomma.

    Tutte le parole che mi erano state dette mi confondevano non poco, ma allo stesso tempo mi facevano di nuovo aprire gli occhi dopo moltissimo tempo...

    A quel punto allungai lentamente il braccio per afferrargli la gigantesca mano. Esitai per un secondo, ma alla fine mi arresi alla voglia di scoprire cosa questa persona mi stava offrendo. Sapevo infatti che la mia voglia di sapere e la mia curiosità avrebbero sicuramente prevalso.

    Mostrami quello che sai.

    Gli dissi solamente.
    Sperando di aver fatto, anche questa volta, la scelta giusta.
     
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    Finalmente, un fugace sorriso di approvazione si dipinse sul volto del gigante: era un’espressione piacevole, suadente, che ne addolciva i lineamenti ieratici e gli conferiva un tono rassicurante. Strinse la mano del nuovo alleato di rimando, con fermezza, e Marcus constatò che il palmo era leggermente freddo, a scapito della temperatura asfissiante, e morbido, quasi in contrasto con l’aria temprata che emanava il resto della sua figura.
    L’idillio dell’accordo appena sancito soffriva di un’unica nota stonata, un sommesso lamento che risuonava poco distante: era Nakak, che, infine libero dalle ganasce del terrore, piangeva a capo basso. Sembrava più una macabra litania, a dire il vero, perché non una singola lacrima fu versata, ma ciò non inficiava minimamente la portata epocale dell’avvenimento: per un individuo che, di solito, provava ben poca empatia per i propri simili, abbandonarsi ad un tale sfogo era più unico che raro.
    Hai scelto con saggezza. Prima di iniziare, però, c’è un’altra persona che devi incontrare.
    Seguimi.

    E così dicendo si incamminò di buona lena, senza mai voltarsi indietro per assicurarsi che Marcus gli stesse dietro. Era come se l’idea che lo stregone potesse avere un ripensamento non lo sfiorasse minimamente. Attraversò viuzze sudicie e deserte, abitate solo da grossi ratti, e le affollate arterie cittadine, immergendosi nella folla ma pressoché incapace di mimetizzarsi tra quella miriade di anonimi volti, lo volesse o no.
    Infine raggiunsero la tenda di un carovaniere alla periferia della città, così vicino all’enorme deserto che sembrava la distesa di sabbia potesse prendere vita ed ingollarli tutti da un momento all’altro; se possibile, la calura era ancor più insopportabile che nel resto del Cairo, anche se le temperature sarebbero salite ancora addentrandosi tra le dune. Il proprietario era un uomo di mezza età, con una rada barba grigia ed un’ombra di capelli, rasati quasi a zero, sulla testa. L’espressione che gli si leggeva negli occhi era di fredda cortesia, con quel distacco tipico di chiunque voglia sbrigare una commissione. Sembrava inoltre avere già incontrato il colosso in precedenza, perché gli si avvicinò parlottando e, dopo averlo preso da parte ed aver ricevuto il proprio compenso, apparentemente nella forma di una modesta sacca tintinnante, gli allungò le redini di tre grossi cammelli.
    Subito dopo, un altro uomo si unì al gruppo, uscendo dalla tenda che rappresentava il centro nevraglico degli affari del commerciante ed afferrando con fermezza le briglie di uno degli animali: anche in questo caso i non detti lasciavano presagire una conoscenza pregressa, o perlomeno una sorta di accordo simile a quello stipulato da Marcus. Un ampio mantello intabarrava il nuovo arrivato, rendendo impossibile discernere le fattezze, che comunque risultavano ben più convenzionali in stazza rispetto a quelle del loro presunto anfitrione che, dal suo canto, offrì la guida dell’ultimo cammello allo stregone.
    Una volta che tutti e tre fossero montati in sella, il colosso li avrebbe condotti verso il deserto, sempre avaro di spiegazioni come aveva dato prova di essere, lui in testa ed i discepoli dietro, a seguire.
    Dopo quelle che parvero ore, il gruppo si arrestò in prossimità di una piccola oasi, nient’altro che una fonte d’acqua cristallina e qualche sparuta palma, mentre inziava a calare la notte portandosi dietro la consueta, gelida, escursione termica.
    Ci accamperemo qui, per qualche ora, per far riposare gli animali. Prendetela come un’opportunità per fare altrettanto, se ne avete bisogno.
    Non sembrava avere alcuna intenzione di preparare un giaciglio, procurare del cibo o accendere un fuoco, per sé stesso tantomeno per chiunque altro.
     
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    Mentre stringevo la mano dell'uomo notai con sorpresa che quest'ultima era leggermente fredda. La cosa era al quanto insolita, visto che la temperatura si aggirava intorno ai 30 gradi anche all'ombra. Inoltre notai che il suo volto impassibile si era fatto sfuggire un barlume di emozione ed un leggero sorriso gli aveva (per un attimo) increspato le labbra. Infine, quando il nostro accordo venne siglato, mi disse:

    Hai scelto con saggezza. Prima di iniziare, però, c’è un’altra persona che devi incontrare.
    Seguimi.


    Detto ciò si incamminò senza aspettarmi. "Che tipo particolare..." Pensai osservando la sua possente corporatura farsi largo tra la folla. Nel mentre i curiosi che si erano assiepati lì intorno erano rimasti delusi. La maggior parte delle persone probabilmente si era aspettata un finale più concitato e così sui loro volti si leggeva la delusione di una rissa mancata... Al contrario, c'erano altri, che per lo stesso motivo erano felici di aver assistito ad un finale senza conseguenze. Probabilmente temevano per le loro bancarelle e per le loro merci, che però erano rimaste sane e salve. L'ultima categoria di persone era quella capitata lì per caso o che non sapeva cosa aspettarsi da ciò che era successo, quindi tutt'ora continuava ad essere dubbiosa sull'accaduto... Così tutti tornarono alle loro vite e presto non gli sarebbe rimasto il minimo ricordo della singolare vicenda.
    Tutti avrebbero quindi dimenticato, tranne il povero Nakak, che ora si era rannicchiato su se stesso e singhiozzava tra se. Faticavo a capire la reazione del mio amico e allo stesso tempo ero molto colpito dal vederlo in quello stato. Il solo osservarlo mi metteva una certa inquietudine che non riuscivo a spiegare, come se il suo alone di paura mi avesse avvolto come un manto che avrei faticato a togliere. Superai quindi il banchetto pieno di libri, mi inginocchiai al suo fianco e gli posai una mano sulla spalla. Era magro come uno stecchino e sentii le sue ossa fremere tra un singhiozzo e l'altro. Rimasi così per alcuni secondi poi mi staccai da lui e me ne andai. Con Nakak non servivano le parole e in quel momento sarebbero risultate maggiorante inutili, così non dissi nulla e me ne andai nel silenzio. "Quando avrò chiarito questa storia, tornerò da te e allora potremo salutarci come al solito..."

    Il gigante non mi aveva aspettato e si muoveva (nonostante la sua stazza) agile tra la gente. Fortunatamente la sua corporatura lo rendeva ben visibile anche dalla distanza e anche in mezzo a tutte quelle persone. Così, prima che potesse scomparire, mi affrettai a raggiungerlo e insieme percorremmo svariate vie secondarie che ci portarono alla periferia della città, sul limitare del deserto. Giunti alle porte di un carovaniere trovammo un uomo che si avvicinò a noi con fare sbrigativo e poco cordiale. Non furono spese molte parole, ma l'espressione sul volto del commerciante era fin troppo esplicativa: "pagatemi ed andate via."
    L'uomo ci fornì tre grossi cammelli: uno per me, uno per il colosso senza nome e uno per un uomo vestito di un ampio mantello che evitò di presentarsi, ma salì semplicemente sulla cavalcatura. Fortunatamente io non ero impreparato ad un viaggio nel deserto e tirai fuori dal mio piccolo bagaglio alcuni teli che mi avvolsi intorno al capo e con i quali mi coprii il le spalle e il busto. Non era la prima volta infatti che affrontavo un viaggio nel deserto e sapevo che il calore e i raggi solari potevano essere micidiali. L'unico che non si curò di proteggersi era proprio il gigante, il quale prese le redini del suo cammello e cominciò a guidarci in mezzo alle dune di sabbia. Non fu un viaggio particolarmente lungo, visto che all'ora della partenza, era già pomeriggio. Non fu però, neanche particolarmente interessante... Nessuno dei miei compagni di viaggio parlò e così rispettai il loro silenzio. Solo quando iniziò a calare la sera, trovammo una piccola oasi e la nostra guida ci comunicò che ci saremmo fermati lì per far risposare gli animali. A quel punto scese dalla sua cavalcatura e si ritirò vicino ad una palma senza aggiungere altro. L'uomo misterioso accompagnò i cammelli ad abbeverarsi e poi li legò al sicuro in modo che non andassero in giro per conto loro. Era la spedizione più strana a cui avessi mai partecipato e i miei compagni sembravano non avere la minima voglia di comunicare gli uni con gli altri. Inoltre cominciavo a pensare che l'enigmatico omone non fosse umano: non aveva sofferto la calura del giorno ed ora che cominciava a fare freddo, sembrava non avere intenzione di coprirsi, ne di mangiare alcunché.
    Io intanto decisi che avrei acceso un fuoco, così controllai cosa trasportavano le nostre cavalcature. Ciascun cammello infatti portava due sacche contenenti un po' di materiale utile ad un breve viaggio. Così grazie ad un po' di legno a qualche foglia che recuperai dalle poche palme presenti, accesi un fuoco e sedetti accanto ad esso. Più tardi recuperai alcuni datteri un po' striminziti, ma commestibili che mangiai insieme ad un po' di carne secca presa invece dalle bisacce. L'acqua non mancava e ne approfittai per riempire le borracce alla fonte. Consumai un pranzo frugale, silenzioso e solitario. Infatti anche l'uomo incappucciato si era astenuto dal fare qualsivoglia azione per se stesso o per gli altri. Buttai un'ultima occhiata verso i due individui e poi mi preparai per la notte.
    Mi distesi accanto al fuoco guardando le stelle. Avevo la mente piena di domande e di dubbi. Mi ripromisi di darmi alcune risposte il giorno seguente, ma a giudicare da come si stava evolvendo la situazione, non avrei trovato delle risposte molto in fretta. "Speriamo che il giorno seguente porti con se qualche buona nuova."

    Dopo alcuni minuti di riflessione mi addormentai profondamente, ma il mio sonno non durò a lungo.
    Venni ridestato nella notte. Le poche braci del fuoco erano ancora leggermente calde e l'enigmatico gigante sembrava pronto a partire. Dal mio giaciglio tirai fuori CarpeDiem e alla luce della luna lessi le sue lancette. Erano le 3.45 del mattino...

    Edited by Betto795 - 7/1/2018, 19:22
     
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    Solo una cosa: il vostro compagno di viaggio è uno specifico PNG, quindi preferirei che non lo caratterizzassi. Anzi, sarebbe meglio che anche lui si astenesse dal mangiare, bere o comunque, in generale, dall’avere con te alcun tipo di relazione. Mi scuso per non averlo specificato immediatamente, piuttosto.
     
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    Ops, scusa! Ho modificato ^_^
     
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    Viaggiarono per quelli che parvero giorni, senza che il copione mutasse d’una virgola: al giorno si alternava la notte, caldo al freddo, ma il silenzio incombeva sulla comitiva come un manto asfissiante, intervallato solo dalle raffiche di vento e dai brevi mugugni delle cavalcature.
    Alla fine, giunsero ai piedi di una grossa duna sabbiosa, dalle dimensioni di una piccola montagnola. Una volta ascesala, ai viaggiatori si rivelò una visione straordinaria: un’enorme piramide in rovina, semisepolta dalla rena, si stagliava al di sotto, in lontananza, terribile a vedersi eppure assurdamente allettante. Era come se una qualche strana forza attirasse l’osservatore verso di essa, pulsandogli dentro come un male che consuma senza palesarsi.
    Look on my works, ye mighty...
    Sembrò mormorare, assorto, il colosso, più pensando ad alta voce che altro. Infine, fece qualche passo in avanti e si volse verso i due compagni, dando le spalle alla struttura. Adesso la sua voce tuonò, stentorea ed eccitata, più penetrante e melliflua del solito: il serpente a sonagli stava scuotendo la sua coda.
    Immaginate, il tempo, come una clessidra.
    Ogni uomo ha la propria e, sin dal momento in cui vede la luce, i granelli all’interno iniziano inesorabilmente a consumarsi, fin quando l’ultimo di essi, fuggendo via come gli altri, non decreti che il suo tempo è giunto. Tuttavia, c’è chi rifugge la sentenza del tempo; c’è chi infrange la clessidra, e sceglie di decidere da sé l’estensione della propria esistenza. In questo momento ho davanti a me due di coloro che ne sono stati capaci. Purtroppo, nessuno dei due ha compiuto il passo successivo e raggiunto la vera consapevolezza: quei granelli non sono una minaccia da evitare, da gettare via nella cieca speranza che non si ricordino mai del vostro strappo alla regola, ma un’arma. Meglio: una falce, con cui dividere le messi guaste da quelle prosperose e mondare il raccolto dai deboli. Ma come ogni arma, bisogna imparare a servirsene: invero, il tempo fortifica e fa maturare, eppure alla fine consuma come un’inevitabile carestia. Tutti; uomini, roccia, opere e, ne sono certo, date le circostanze più favorevoli anche coloro che pare aver dimenticato. Avete in voi il potenziale per padroneggiare quest’arma che vi è stata offerta, dimostratemelo. Dimostratemi che siete realmente impervi alla carestia che è lo scorrere dei secoli e vi ricompenserò come concordato. Perché, sappiatelo, nulla è concesso gratuitamente.
    Entrerete in quel mausoleo giù a valle, entrambi, e rimarrete al suo interno finché potrà uscirne soltanto uno. Vi è vietato uccidervi, non è quello lo scopo. Non sarà una battaglia lampo, ma una guerra di logoramento. Guardate in volto il tempo e soggiogatelo: solo allora sarete degni dei miei insegnamenti.
     
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